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Per prendere in considerazione il ruolo della celebrità politica nel nostro tempo, bisogna prima considerare che oggi viviamo in un periodo caratterizzato da una crescente complessità e da una maggiore riflessività che si riflette nei cambiamenti economici, socio-culturale e politici.
Il concetto di Bang, ripreso da Marsh, T’hart e Tindall (2016), vede l’attuale stato della politica caratterizzata da diversi punti: un maggior potere dato al governo; lo svuotamento dello stato; la perdita di potere e del ruolo centrale dei partiti; il cambiamento delle forme di partecipazione politica e l’aumento del dualismo media e celebrità politica.
Se per i primi punti possiamo pensare che il cambiamento è dato soprattutto a motivi strettamente strutturali e politici, gli ultimi due sono più legati al nuovo ruolo che è stato dato alla comunicazione e alla introduzione di internet.
La comunicazione, per le persone più critiche, è solo un canale per tradurre i punti di vista degli esperti delle élite all’elettorato, senza considerare il potenziale dei cittadini nell’impegnarsi attivamente per risolvere i problemi e il processo decisionale delle comunità politiche. Quelli invece con una visione più ottimistica, d’altra parte, credono che una forte governance democratica sia resa possibile dalla capacità dei media di educare il cittadino per facilitare la discussione, la riflessione e fare delle scelte politiche informate.
Queste doppie posizioni sono state approfondite e adottate da John Dewey e Walter Lippman negli anni ‘20 (Dewey, 1927; Lippmann, 1921).
Dewey sosteneva che la politica democratica si basava su di una sfera pubblica dei cittadini, esperti e giornalisti in comunicazione uno con l’altro. Lippman invece sosteneva che la maggior parte dei cittadini non fosse capace di un pensiero politico serio e che le questioni sociali complesse dovrebbero invece essere lasciate a coloro che li rappresentavano. (Loader, Vromen, Xenos, 2016)
Il modello di trasmissione di Lippman della comunicazione ha lasciato poco spazio per i cittadini di impegnarsi in politica, lasciandogli come unica vera responsabilità la pratica del voto.
Dewey nel suo modello, al contrario, esorta e scarica una eccessiva responsabilità ai cittadini, giornalisti ed esperti di fare politica.
Questo dualismo è ancora contemporaneo, espresso dalla cattiva salute della nostra democrazia. Per questo motivo nel corso degli ultimi anni sono nate nuove forme di partecipazione politica, grazie soprattutto alla diffusione di internet e dei social media.
Una figura che oggi trova sempre più spazio nella vita politica democratica è il cittadino Everyday Maker.
Queste persone non sono apatiche, ma è difficile che vogliano impegnarsi direttamente con lo stato o all’interno dei suoi organi. Inoltre, non hanno alcun interesse a impegnarsi o a partecipare nella vita politica di un partito. In molti casi non sono guidati da un senso di dovere, o da un’ideologia; né sono interessati ad acquisire influenza, ma piuttosto vogliono sentirsi coinvolti e soprattutto, vogliono migliorarsi come individui.
Abbiamo perciò dei cittadini che vedono una partecipazione politica meno comunitaria e più orientata al singolo e che sono slegati da qualsiasi ideologia o appartenenza di gruppo. Di conseguenza, i politici devono impegnarsi continuamente con i cittadini inducendoli a partecipare. E per farlo, usano la comunicazione, i media e le celebrità.
È certamente vero che i politici e i partiti utilizzano sempre più gli strumenti mediatici di celebrità e che il marketing politico è diventato una caratteristica molto importante della politica contemporanea. Eppure alcuni problemi nella nostra democrazia esistono e non sembrano essere affrontati.
Uno di questi è la figura del giovane cittadino. In genere raffigurato come un soggetto intento a disinteressarsi delle pratiche democratiche attraverso la sua apaticità e la sua non-attività politica, i giovani vengono così riconosciuti come cittadini ‘incapaci‘ sia da Lippman, o come ‘indegni‘ per unire comunità politiche da Dewey.
Questo etichettatura può essere vista anche per presentare ed esporre le preoccupazioni per l’influenza di Internet sulle future generazioni. Da questo punto di vista, questo mezzo di comunicazione sociale, non consente di rafforzare l’impegno democratico e agisce solo a minare ulteriormente la politica di ‘formazione’ dei giovani cittadini, tenendoli ai margini della sfera pubblica. Con la capacità di costruire le proprie reti di comunicazione al di fuori dei media tradizionali, i giovani possono più facilmente evitare argomenti o temi come la politica, l’economia, i problemi sociali e gli affari pubblici. Inoltre, il suo utilizzo come canale per la condivisione di “chiacchiere”, giocare con giochi online e guardare video viene visto come una ulteriore prova di come internet aumenti il deficit di attenzione politica dei giovani cittadini. Anche quando i giovani usano i social media per sostenere una campagna, o per firmare una petizione online, questo è considerato dalla critica come slacktivism piuttosto che vero e proprio impegno di cittadinanza (Loader, Vromen, Xenos, 2016).
Queste preoccupazioni circa gli effetti negativi di internet e dei social media sui giovani hanno cominciato a destare allarme e quindi aumentare l’attenzione su questo argomento da parte dei politici e degli addetti ai lavori.
Alcuni hanno cercato di rispondere a queste preoccupazioni argomentando che molti giovani cittadini sono sistematicamente esclusi dal sistema politico. L’accesso alla sfera pubblica per un giovane cittadino è stato spesso negata.
I requisiti di ingresso appropriati per partecipare all’attività politica non vengono rispettati dalle giovani generazioni, e di solito sono identificati con l’età e/o la poca capacità di ragionare ed esprimersi in maniera articolata sulla base di una solida conoscenza della materia in discussione.
Un’altra argomentazione sostiene che le pratiche di cittadinanza di molti giovani nelle società tardo-moderne hanno significativamente cambiato da un modo prescritto per uno che è più personalizzato e di auto-determinazione (Loader, Vromen, Xenos, 2016).
Nella teoria politica convenzionale un giovane è obbligato a partecipare alle elezioni e si deve unire ad organizzazioni politiche e civiche per promuovere temi, legarsi ad un movimento, manifestare per le proprie idee. Il giovane cittadino contemporaneo è invece più propenso ad impegnarsi attraverso canali informali e reti sociali non gerarchiche che sono mediate da piattaforme digitali.
I social media, come Facebook e Twitter, sono sempre più visti come il mezzo di comunicazione e di scelta per qualsiasi intento politico e soprattutto vengono visti come luogo dove catturare i voti dei giovani cittadini.
Queste piattaforme online hanno obbligato i partiti e i movimenti a modificare la loro politica di comunicazione in modi che dimostrano un’affinità più vicino all’esperienza vissuta dai giovani (e non) di oggi.
Selfie, tweet, profili di Facebook o di Instagram, sono parole ormai di uso comune nel linguaggio politico e l’uso dei social media da parte dei politici viene visto come un’ulteriore prova per la promozione di spettacoli, come fossero celebrità, per costruire attivamente importanti basi elettorali di giovani elettori (Van Zoonen, 2005).
Gli stessi politici devono affrontare la concorrenza on-line per l’attenzione dei giovani cittadini dalle celebrities di intrattenimento, dello sport, di YouTube, ecc, intente a esprimere le proprie opinioni politiche o partecipare a importanti discussioni su svariati temi pubblici.
Questo potrebbe segnalare un ulteriore passaggio verso una nuova cultura pop on-line dei giovani cittadini, dove i politici e le celebrità si giocano il ruolo di protagonisti per catturare la loro attenzione.
Un’indicazione della natura banale della politica di celebrità e il continuo declino della democrazia per cui i politici dovrebbero utilizzare i social per attirare i giovani cittadini risulta sconfortante per molte persone (Crouch, 2004). Con essa si incoraggia lo spettacolo della politica di essere semplificata, sensazionalizzata per soddisfare un pubblico apatico, ignorante e con una scarsa capacità di attenzione. Da questo punto di vista, i social media continua semplicemente il danno fatto alla democrazia rappresentativa da piattaforme multimediali precedenti come la televisione (Putnam, 2000). Queste visioni pessimistiche sono, però, state contrastate nel corso dell’ultimo decennio da un certo numero di studiosi che hanno sostenuto che la celebrità politica deve essere presa sul serio.
La parte rappresentativa e la democrazia parlamentare potrebbero essere messe sotto pressione o addirittura minate se le celebrità vengono utilizzate per legittimare le decisioni politiche prese. Questa analisi non è ottimista circa il futuro della democrazia, ma per lui la speranza, come abbiamo citato nel paragrafo precedente, è nei Everyday Makers e il loro rifiuto di accettare per oro colato ciò che i politici o gli esperti sostengono.
La maggior parte della letteratura scientifica e sociale sul rapporto tra celebrità e democrazia tende a vedere il primo come un qualcosa che compromette quest’ultimo, anche se ci sono alcuni autori che vedono l’effetto delle celebrity come un beneficio.
L’adozione da parte dei politici di stili di comunicazione di solito associati alla cultura pop, come il marketing e l’intrattenimento, spesso viene vista in modo dispregiativo.
Un esempio è la banalizzazione della politica, che per David Meyer e Joshua Gamson (1995) sottolinea come le celebrità spostano la copertura dei media verso un focus con uno stile più personale e drammatico.
Infatti nel corso degli ultimi anni le emozioni sono state viste come un importante e legittimo fattore che modella la partecipazione dei cittadini. Passione e sentimenti non solo possono essere considerate come fonti di affinità, identificazione o valutazione critica, ma sono ormai alla base del vissuto impegno democratico.
La politica celebrità quindi ci restituisce uno sguardo ai nostri spazi comunicativi in cui i cittadini vivono la loro vita e dove i politici cercano il loro sostegno e la loro attenzione. Questo concetto ci aiuta a introdurre un argomento molto dibattuto nella letteratura, cioè che il ruolo crescente delle celebrità in politica porta ad un abbassamento della qualità dei politici. La maggiore critica che viene posta è che i nostri rappresentati vengono apprezzati per il loro stile piuttosto che per le loro capacità, e che questi hanno abbassato la qualità del dibattito politico.
Inoltre, la forte amplificazione, da parte dei media, delle voci delle celebrità nel discorso pubblico, può annullare o portare in secondo piano le prospettive o le opinioni fornite da altri, meno famosi e meno comunicativi, ma forse più competenti e più preparati.
Alcuni autori sono andati molto più in là nella loro critica, sottolineando l’aumento e la pervasività della cultura dell’entertainment e il suo rapporto con il predominio delle forze di mercato.
Marshall (1997) suggerisce che la celebrità comporta «la migrazione di strategie comunicative delle industrie di intrattenimento e di pubbliche relazioni nell’organizzazione dello spettacolo della politica». Questa migrazione nella politica di concetti come il marketing e la comunicazione è volto sempre più a promuovere l’individualismo, un fenomeno, come ricorda Marshall, che viene espresso dalle celebrità e dal capitalismo.
Accanto a questo fenomeno, possiamo trovare anche una tendenza a promuovere la personalizzazione.
John Corner, per esempio, fa la distinzione fra tre ambiti distinti: sfera politica, sfera pubblica e la sfera privata. La sfera politica, sostiene Corner, non tende a essere che una sfera mediata dalle prestazioni del politico, spesso a porte chiuse, con le interazioni con altri politicanti. Al contrario, la sfera pubblica è completamente mediata con il politico in esecuzione come figura pubblica. Egli suggerisce che la prima sfera può essere vista come un ‘luogo di lavoro’ e la seconda come un ‘negozio’, cioè un modo di come separare la produzione e il consumo di politica. Come altri, egli sostiene anche che la terza sfera, quella privata, è diventata di maggiore importanza con l’aumento del personaggio politico (Loader, Vromen, Xenos, 2016) che, nonostante le loro proteste, i politici hanno introdotto sempre più aspetti della loro vita sottolineato dall’uso massivo dei social media per tweeting e selfie. Tornado alla personalizzazione della politica, la priorità data ai profili e le prestazioni dei singoli politici, in particolare capi di partito, in campagne politiche e attraverso i mezzi di informazione, è stato offerto come prova di questa tendenza. Così, il sostegno dei cittadini e il loro impegno nelle campagne elettorali si è visto modellare da come essi reagiscono verso candidati politici e leader di partito (Coleman, 2013) (Loader, Vromen, Xenos, 2016). Questo fenomeno, come abbiamo citato sopra, ha portato anche a uno spostamento dell’attenzione dal volto pubblico dei politici per la loro vita privata.
Personalizzazione, individualismo, ci riportano al concetto di attivismo delle celebrità, alcuni autori suggeriscono che un regime di celebrità non è necessariamente dannoso per la società moderna e può essere vantaggioso per il nostro sistema politico. Una delle contro-critiche al sistema democratico occidentale (Orman 2003) ha voluto anticipare i tempi per quanto riguarda la sovrapposizione della celebrità e della politica:
Almeno in astratto, la possibilità di rinvigorire la politica americana con l’introduzione di nuova linfa e nuove idee. A differenza dei politici tradizionali, le celebrità non devono fare lunghi periodi di apprendistato prima che possano arrivare a lavorare o dirigere grandi uffici. Di norma, sono meno legati ad interessi politici acquisiti a causa della loro ricchezza o la capacità di raccogliere fondi da amici e familiari. In un mondo politico in cui le alleanze e gli accordi sono la regola, questi tipi di individui sono gli agenti più liberi e più autonomi che si possono trovare nel processo politico americano.
Un elemento cruciale della discussione qui è l’idea che un testimonial e l’attivismo può rinvigorire la politica democratica. Un esempio è che le celebrità insieme ai media possono semplificare un complesso dibattito politico rendendo le questioni più accessibili ai cittadini che sono meno politicamente consapevoli e interessati. La politica delle celebrità può quindi fornire un metodo poco ortodosso, ma potenzialmente efficace, di interrompere il monopolio delle pressioni della élite e delle lobby nelle agende politiche e nel dibattito pubblico.
Le celebrità hanno una capacità unica di raggiungere e mobilitare cittadini altrimenti apatici, e qualche volta riescono a dare voce alla disaffezione della politica o di altri temi nella società e sulla scena mondiale.
L’utilizzo di queste persone di strumenti come i social media può aumentare la conoscenza dei giovani cittadini di politiche, argomenti e valori.
Questo comporta anche un senso di affinità (identità) con il politico o celebrità politica che permette anche una valutazione emotiva. (che come abbiamo citato poco più sopra, l’emozione è centrale nel discorso politico della nostra società attuale)
Un altro modo in cui le celebrità possono influenzare e/o essere utilizzate è la loro partecipazione all’interno di movimenti, che siano di protesta o di organizzazione verso tematiche ambientali, sociali, ecc.
I mass media, in genere, concentrano la loro attenzione verso alcuni attori di un movimento e analizzano i loro comportamenti a scapito di altri. Come Gitlin (1980) documenta nel suo studio di copertura mediatica Students for a Democratic Society e il movimento contro la guerra negli anni 1960, i mass media tendevano a evidenziare la provocatorietà, o lo spettacolo orientandolo agli attori del movimento (esempio, le bandiere che richiamavano i Vietcong, il loro modo di vestirsi o di agire) e dandogli maggiore copertura, ignorando gli altri messaggi provenienti dal movimento. Da qui una piccola sezione di attori del movimento, scelti in gran parte dai mass media, è venuta a monopolizzare l’attenzione del pubblico ed è diventato de facto portavoce del movimento.
Per questo è sempre più comune vedere le celebrità come portavoce o sostenitori dei movimenti sociali. In qualità di headliner di un evento, testimoniano, e la loro presenza viene evidenziata nei media tradizionali, dove gli intervistatori “spesso chiedono a loro di discutere dello stato di pace nel mondo, la loro posizione sul Medio Oriente, l’ambiente, la politica in generale, e così via” (West & Orman, 2003). Lo sviluppo e l’aumento di alleanze con celebrità per i movimenti sociali è chiara: le celebrità comandano l’attenzione e hanno la possibilità di parlare pubblicamente di questioni politiche, «mentre gli esperti sulle questioni, per non parlare dei cittadini medi, hanno molto meno possibilità di ottenere l’accesso ai media» (Kurz et al., 2007).
In un’epoca dove il pubblico risulta sempre più frammentato e distratto, e la concorrenza per raggiungere il pubblico di massa si è fatta molto più dura, molti più movimenti sociali si sono rivolti a questo percorso.
Un problema che risalta con l’attivismo delle celebrità è quella dello “standing”: le celebrità, essendo élite che sono ben fuori dalla classe media e provengono da sfondi privilegiati, gravitano verso i movimenti che o non sfidano o non possono coesistere con tali attributi (Meyer & Gamson, 1995).
In sintesi, i movimenti sociali sono attratti dalle celebrità per la loro capacità di comandare l’attenzione; Tuttavia, proprio come l’obiettivo per la copertura mediatica di acquisire attenzione, questa strategia può sia annegare e mettere in secondo piano altri attori del movimento, e può diluire il messaggio per renderlo conforme alle esigenze del personaggio o della celebrità.
Per questo l’uso della celebrità è utile (e in molti casi fondamentale) all’inizio per aumentare e acquisire visibilità o importanza al movimento. La strategia poi dovrebbe sempre meno tener conto dell’influenza delle celebrities, per evitare che un movimento si colleghi o si plasmi sempre più con loro.