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Nel 2016, per la prima volta negli Stati Uniti, i membri della generazione “millennials” sono stati quasi esattamente uguali ai baby boomer come percentuale di adulti che hanno diritto di voto. Secondo i dati del progetto “Nonpartisan States of Change,” i millennial (che possiamo definire come nati tra il 1981 e il 2000) hanno rappresentato il 30,5 percento degli elettori idonei, praticamente corrispondenti al 30,7 percento dei baby boomer già nel 2018.
Oggi, i boomers si sono ridotti a circa il 28 percento degli elettori, mentre i millennial hanno superato oltre il 34 percento.
Poiché gli elettori più anziani hanno sempre votato in modo più affidabile di quelli più giovani, i millennial quasi certamente non saranno né più legati ad un partito né tantomeno ad una ideologia.
La transizione di questi anni sta ponendo fine a una corsa dominante per i baby boomer, l’enorme base elettorale nata tra il 1946 e il 1964, iniziata nel 1980 eguagliando gli elettori della generazione che ha combattuto la seconda guerra mondiale e li ha superati, come il più grande blocco di elettori effettivi, nel 1984.
E da quell’anno è risultata essere la più grande generazione in ogni corsa presidenziale da allora.
Ma ora i boomers stanno cedendo il passo ai millennial (e ai primi post millennial, quelli cioè nati negli anni duemila).
Questa inesorabile transizione generazionale potrebbe sollevare il Partito Democratico e sfidare i Repubblicani, se le attuali lealtà e proiezioni al voto rimarranno valide.
Tornado indietro nella storia delle elezioni americane, i baby boomer sono emersi, per la prima volta, come una forza culturalmente liberale. Formata generalmente da una popolazione bianca (80%) e che invecchiando ha preferito votare per i repubblicani (i repubblicani hanno conquistato i voti di circa tre quinti dei bianchi dai 45 ai 64 anni nel 2010, 2012 e le elezioni del 2016).
La più grande sfida per i partiti politici è il riuscire a catturare l’attenzione e il voto delle nuove generazioni.
Quindi non risulta più un essere un’opera di coinvolgimento sull’ideologia, ma sulla prestazione e sulla proposta di soluzioni per il futuro.
Un esempio sono le difficoltà economiche delle generazioni più giovani emerse già durante i due mandati di Obama, e peggiorate con i quattro anni di Trump.
Rispetto alle generazioni precedenti alla stessa età, i millennial hanno maggiori probabilità di essere poveri e meno probabilità di sposarsi. Le famiglie odierne, guidate da persone di età compresa tra i 25 ei 32 anni, hanno accumulato solo la metà delle risorse finanziarie di quante ne avevano le loro controparti nel 1984, anche se oggi molti di loro hanno una laurea e generalmente sono più istruiti.
Certamente il crollo finanziario del 2007, e tutta la crisi economica che ne è derivata non ha aiutato le persone, e soprattutto i giovani, ad inserirsi nel mondo del lavoro.
Questa disparità indica sempre più un maggior contrasto generazionale. Mentre i baby boomer hanno beneficiato nella loro giovinezza dell’aumento della spesa pubblica, i millennial hanno subito un forte taglio sugli investimenti nel loro futuro.
In uno studio sulla rivista Atlantic risulta che il contrasto con i baby boomer è rivelatore se si osservano le spese.
Un esempio è il costo delle lezioni per le università pubbliche che dal 1964 al 1976 sono aumentate di circa $ 450, quando molti giovani, provenienti dalle ondate di boomers, hanno invaso i college americani. Al contrario, le lezioni universitarie dal 2001 al 2012 sono aumentate di oltre $ 3.200 mentre i millennial si riversavano nei campus.
Per questo il vero banco di prova, della crescente importanza delle generazioni nate dopo gli anni ‘80, sarà un drastico cambiamento del sistema politico e forse, dei suoi rappresentati.
Questo articolo fa parte della rubrica Road to November 2020: Viaggio nella Politica Americana.
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